Exten SA: quando i diritti dei lavoratori sono più fini di una pellicola in PVC…

Il caso della Exten SA costituisce un concentrato emblematico dell’offensiva scatenata da una larga fetta del padronato dell’industria ticinese nei confronti dei diritti e delle condizioni di lavoro delle loro maestranze, sfruttando il rafforzamento del franco svizzero sull’euro, a difesa dei profitti aziendali immeditati. Un’offensiva che sta assumendo due caratteri principali: un processo di generalizzazione e una brutalità crescente. La Exten SA ne è attualmente l’esempio più eclatante: tagli salariali del 26% per i frontalieri, del 16% per i residenti, conditi dalla minaccia di chiusura dello stabilimento, naturalmente senza offrire la benché minima prova, anche creata ad arte, per giustificare eventuali difficoltà dovute alla fluttuazione del tasso di cambio. Tagli salariali profondi per difendere i profitti della proprietà. Vediamo più da vicino il caso in questione.

Anno 1981

È l’anno in cui la famiglia Carlini accende le macchine della Exten SA, impresa situata a Mendrisio che produce, lavora e commercializza materie plastiche ed affini, più in particolare film, laminati e fogli in plastica (PVC). L’azienda conosce un continuo e progressivo sviluppo, stabilizzando il suo fatturato attorno ai 45 milioni di euro e con una forza lavoro che si aggira attorno alle 100 unità, suddivise tra produzione (circa una cinquantina), laboratorio per la certificazione e amministrazione. Sfortunatamente, le informazioni finanziarie relative alla ditta sono scarnissime.
Al momento della fondazione della Exten SA, la famiglia Carlini vantava un’esperienza nella produzione di pellicole in plastica e derivati iniziata qualche decennio prima. Nel 1909, è fondata Venegono Superiore la fabbrica Aristodemo, di proprietà di Peja Aristodemo, attiva nella produzione di pettini di corno e di celluloide. Nel 1963, cambia la produzione, la quale si centra sulla lavorazione di fogli di plastica in PVC e nasce il gruppo Alfatherm, grazie alle famiglie Carlini e Galeazzi. Attraverso la società Alfatherm Finanzaria SPA, Paolo Carlini e soci controllano tre altre società attive nella produzione di film termoplastici calandrati in PVC per il confezionamento e il rivestimento di prodotti di settori quali quello alimentare, farmaceutico, cosmetico, cartotecnico e dell’arredamento. Le società in questione sono l’Alfatherm Industriale SPA (1980), la Gorlex SPA (1986) e la Flexa SPA (1988). Paolo Carlini possedeva pure la società A.T.P. Plast SPA, uno stabilimento per la fabbricazione di imballaggi in materie plastiche, fondata nel 1977 a Brescia e liquidata verso la fine degli anni ’90.

Anno 2002

Nell’ultimo trimestre del 2002, Paolo Carlini, anticipando forse le difficoltà future, cede la quota detenuta nell’holding Alfatherm Finanziaria SPA alla BA Capital Management Europe II LLC, un fondo di private equità della Bank of America, specializzato nel mercato italiano. Al momento del passaggio di proprietà, l’holding Alfatherm Finanziaria SPA aveva un fatturato di 105 milioni di euro e impiegava circa 500 operai. Sembra che l’operazione di acquisizione sia ammontata a 70 milioni di euro. Paolo Carlini deteneva, tramite la sua società finanziaria Nibbio SPA, il 38,46% della holding Alfatherm Finanziaria SPA. Con questa cessione, la famiglia Carlini si ritira dal mercato italiano della produzione di film rigidi e semi-regidi in PVC. Tuttavia, non è un ritiro totale da questo settore industriale.
Infatti, l’attività continua in Ticino, con la Exten SA. Sono poche le informazioni sui risultati economici e finanziari della Exten SA. Nel 2007, il fatturato si aggirava sui 40 milioni di euro, per aumentare ai 43 milioni del 2009. Nessuna informazione più recente è disponibile.

Anno 2015

Dopo un inizio 2014 contraddistinto da una sottoccupazione dei mezzi di produzione, gli ultimi mesi del 2014 si sono chiusi in positivo per la società Exten SA: il personale in produzione ha lavorato su quattro turni continui, 24 ore su 24, 7 giorni su 7. La buona tenuto economico-finanziaria della ditta è data dal certificato rilasciato, nel mese di giugno 2014, dalla società Dun & Bradstreet, specializzata nella fornitura d’informazioni commerciali ed economiche sulle imprese, in particolare sul grado di solvibilità e sull’analisi del rischio delle stesse. Secondo l’analisi di Dun & Bradstreet, la società Exten SA può esibire l’indicatore di rischio 1, ossia un rischio minimo di fallimento aziendale tale da figurare nelle Top Rating Companies, le imprese che si contraddistinguono per la stabilità finanziaria e una solvibilità elevate. Sembrerebbe che solo il 2% delle imprese svizzere certificate possono essere classificare con l’indicatore 1 sviluppato dalla società Dun & Bradstreet. Come dire che la salute commerciale ed economica di Exten SA è un fatto assodato.
Sennonché, nei primi giorni di gennaio del 2015, la direzione della società, capitanata da Luigi Carlini, informa i dipendenti di voler procedere a una decurtazione dei salari. La ragione? Il rafforzamento del franco svizzero sull’euro, ovviamente… A poco, a poco, dalle ipotesi si passa ai fatti. E la decisione della proprietà di Exten SA è una vera e propria mazzata materiale e morale per i dipendenti della ditta.
Senza fornire spiegazioni finanziarie ed economiche, ponendo il solito e sordido ricatto “tagli salariali oppure licenziamenti e chiusura dalla fabbrica”, la direzione annuncia una decurtazione salariale del 26% per i lavoratori frontalieri e del 16% per i residenti! Fino ad oggi, si tratta dalla decurtazione più elevata mai registrata dal sindacato Unia da quando il padronato dell’industria (ma non solo) ha deciso di usare il franco forte per aumentare i propri margini di profitto. Da notare un fatto di peso: i tagli saranno in vigore dal 1° di marzo ma non è stato fissato fino a quando rimarranno attivi. Il timore, quasi una certezza, è che saranno permanenti o di lunga durata, indipendentemente dalla fluttuazione del franco sull’euro… Ecco un caso perfetto di dumping salariale.

Furto e violenza morale, il nuovo marchio della Exten SA!

Come abbiamo detto più sopra, la decisione della proprietà di Exten SA è un vero e proprio colpo di maglio per il reddito del personale. Oggi, un operaio turnista alla Exten SA guadagna un salario di base pari a 3’200 franchi lordi (per 13 mensilità). Se questi proviene da oltre la frontiera, il suo salario base lordo passerà a 2’368 franchi mensili, una perdita lorda mensile di 832 franchi, ovvero di 10’816 franchi lordi su base annua! L’operaio turnista residente, calcolando sempre lo stesso salario di base lordo, vedrà passare la sua retribuzione dagli attuali 3’200 franchi ai prossimi 2’688 franchi lordi. La perdita mensile si tradurrà in 512 franchi lordi, pari a 6’656 franchi lordi annui! Detto in altre parole, il frontaliere perderà 3,4 mensilità, il residente 2,1 mensilità in un anno.
Questo per quanto riguarda il salario diretto. Andrebbero infatti calcolate e contabilizzate, in prospettiva, le perdite in materia di AVS e di II° pilastro, le principali voci del salario indiretto. E se un residente, un anno dopo l’introduzione dei nuovi salari, dovesse andare in disoccupazione, la perdita anche a questo livello sarebbe pesantissima: invece del 70% o 80% su un salario lordo di 3’200, quindi di 2’240 e rispettivamente 2’560 franchi, l’operaio turnista residente riceverà solo 1’882 o 2’150 franchi. Gli effetti a catena di questo furto salariale sono dunque molto più pesanti e si manifesteranno nella vita professionale attiva come anche in quella inattiva professionalmente, con la pensione…
Nel sottotitolo abbiamo esplicitamente parlato di furto. Nulla di più vero. E lo dimostrano i fatti. Il cambio attuale CHF/EUR è di 1,05. Rispetto al cambio fisso di 1,20 CHF/EUR, il rafforzamento del franco è stato del 12,5%. Ora, la famiglia Carlini a imposto dei tagli salariali ben superiore a questa cifra: il 26% e il 16%! Ecco un modo semplice ed efficace per aumentare i profitti…
La proprietà della società Exten SA non si è limitata a massacrare materialmente i suoi operai. Lo ha fatto anche moralmente. A partire dall’11 febbraio, gli operai dei quattro turni sono stati chiamati individualmente a presentarsi soli davanti a tre rappresentanti della proprietà e della direzione. Operai con 20 o più anni di anzianità in fabbrica si sono trovati fra le mani il nuovo contratto di lavoro, l’addendum secondo la definizione ufficiale, con l’ “invito” a firmarlo seduta stante, perché l’alternativa sarebbe stata la “chiusura della ditta”. Nessuna possibilità di riflettere, di fare alcuni calcoli, di confrontarsi con i colleghi, di discutere con la famiglia, di interpellare il sindacato, ecc. Prendere o lasciare. E in cambio, un sogghigno arrogante da parte dei i tre rappresentanti dei vertici aziendali incaricati della mattanza. Dopo l’operazione della firma dei nuovi contratti, i Carlini sono ripartiti a bordo di una Maserati nuova fiammante, gli operai del turno sono tornati in produzione, chi arrabbiato, chi completamente demoralizzato, chi con malori dovuti alla prova sostenuta. Ma tutti umiliati da chi ha il potere di acquistare la forza lavoro alle condizioni più redditizie e fregandosene allegramente dei diritti e delle leggi!

Dove sono i difensori dell’etica imprenditoriale? Scomparsi tra le fluttuazioni del franco?

La famiglia Carlini non è l’ultima arrivata. Ha capito che per meglio inserirsi nel tessuto ticinese, è utile sviluppare alcuni rapporti con personaggi eminenti del mondo economico e finanziario locale.
In questo senso, nel consiglio d’amministrazione della Exten SA figura, da diverso tempo, Antonio Foglia, consigliere d’amministrazione e dirigente dell’istituzione finanziaria di famiglia, la Banca del Ceresio. Antonio Foglia è pure membro del Comitato Scientifico di Confindustria, socio dell’Associazione italiana degli analisti finanziari e della Swiss Society for Financial Market Research. Per diletto, scrive per i quotidiani Corriere della Sera e il Sole 24 Ore.
A fianco del banchiere troviamo l’industriale (in pensione) Franco Ambrosetti. Dal 1994 a fine 2014, Franco Ambrosetti è stato presidente indiscusso della Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino (Cc-Ti). Si tratta dell’associazione mantello dell’economia ticinese, l’interfeccia padronale con le autorità politiche federali e cantonali «per promuovere condizioni quadro favorevoli affinché le imprese possano nascere e prosperare, garantendo e promuovendo un’economia forte e concorrenziale». In seno alla Cc-Ti sono iscritti 900 membri individuali e 43 associazioni di categoria, in rappresentanza di circa 6’000 imprese. In qualità di industriale e rappresentante dell’associazione padronale di riferimento, Franco Ambrosetti ha negli ultimi anni moltiplicato i suoi interventi a favore di un’etica dell’imprenditorialità, contrapposta a uno spirito imprenditoriale rapace, parassitario. Una supposta contrapposizione alimentata più volte da Ambrosetti.
Ecco alcuni esempi. Il 1° maggio del 2013, sul portale internet www.liberatv.ch, l’allora presidente della Cc-Ti affermava: «Si può discutere su tutto, c’è un problema nel numero dei frontalieri, ma le soluzioni passano anche attraverso il rispetto delle persone. I frontalieri, che hanno contribuito alla ricchezza di questo Cantone, sono persone e non oggetti. (…) Tuttavia se ci sono imprenditori che su questo speculano [sui salari bassi versati ai frontalieri] e non rispettano le regole questi vanno perseguiti e condannati. Questa però e una parte del problema. Capiamoci: dumping vuol dire lavorare sottocosto, vuol dire avere salari troppo bassi che premono sulla massa salariale complessiva. (…) C’è tuttavia qualcosa che è cambiato negli anni nella classe imprenditoriale: è stato confuso il mezzo con il fine. Una volta c’era l’imprenditore che ragionava a lungo termine e il profitto era il mezzo per poter investire nella propria attività, distribuire la ricchezza. Oggi ci sono i manager, persone che ragionano a breve termine per i quali il fine unico è il profitto, che cercano di far rendere sul mercato un’azienda perché sanno che così ci guadagnano anche loro e poi, finito il loro mandato, vanno da un’altra parte. Sono come mercenari. E questa è una politica che deve cambiare. Ci vuole anche etica contro il guadagno fine a se stesso» (http://www.liberatv.ch/articolo/13122/ambrosetti-imprenditori-serve-pi%C3%B9-etica-e-anchio-ho-simpatia-i-salari-minimi/index).
Nel numero di ottobre 2014 di Ticino Business, pubblicato della Cc-Ti, Franco Ambrosetti scriveva quanto segue: «Che l’imprenditoria sia profondamente cambiata rispetto a quando ero ancora attivo nelle nostre aziende di famiglia è un dato di fatto. Essere imprenditore oggi significa rapportarsi a un mondo infestato da squali notoriamente poco portati per l’etica degli affari».
In qualità di membro del consiglio di amministrazione della Exten SA, Franco Ambrosetti – senza dimenticare Antonio Foglia – ha l’occasione per dimostrare la consistenza delle sue parole e dei sui principi. E deve farlo chiaramente, senza sottrarsi alla sue responsabilità di “imprenditore etico” e di ex rappresentante dell’imprenditoria ticinese.
Per mezzo degli organi di stampa che leggono il presente articolo, chiediamo a Franco Ambrosetti una presa di posizione chiara in merito all’attacco brutale portato dalla proprietà della Exten SA, della quale è amministratore, contro i lavoratori e più specificatamente:
• come si posiziona rispetto a un’azienda, della quale è amministratore, che non rispetta le leggi, ovvero l’accordo sulla libera circolazione delle persone e il divieto di scaricare sui dipendenti il rischio d’impresa (art. 324 CO);
• Quali sanzioni chiederà alla Cc-Ti contro la Exten SA;
• Quali misure prenderà, in qualità di membro del consiglio d’amministrazione, per imporre il rispetto dei diritti dei lavoratori indigeni e frontalieri della Exten SA (“I frontalieri sono persone e non oggetti”);
• Quali garanzie darà, in termini di protezione contro le minacce di licenziamento, ai lavoratori della Exten SA che decideranno di opporsi a questi “imprenditori senza scrupoli, né etica”.

Richieste semplici ma doverose. Nei confronti dei lavoratori e delle lavoratrici delle Exten SA, di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori dell’industria ticinese e dell’opinione pubblica intera. Se Ambrosetti, come gli attuali vertici della Cc-Ti e dell’AITI credono, realmente, in un’imprenditoria etica, è forse giunto il momento di manifestarsi a difesa di un principio che sembra annegare sempre più fra le fluttuazione del franco…

Purtroppo l’evoluzione negativa delle regole deontologiche, il degradarsi
dell’etica degli affari, ha come una marea infettato la società nel suo complesso.

Discorso del Presidente Cc-Ti
Franco Ambrosetti
Pronunciato in occasione della 97esima Assemblea generale ordinaria della Cc-Ti del 17 ottobre
2014, tenutasi presso l’Hotel De La Paix di Lugano

Negli anni ‘90 il settore automobilistico introdusse nuove regole. Partendo dal comparto acquisti (1/3 dei costi globali) fu introdotta la dottrina Lopez, un top manager della GM, tesa alla riduzione dei costi con modalità che di fatto cancellavano tutti quei principi di correttezza e lealtà che avevano retto il modo di fare affari nel dopoguerra. Il metodo era semplice quanto efficace: mentire, mentire sempre e ovunque per ottenere dai fornitori un vantaggio finanziario, ad esempio passandogli false informazioni come sconti sui prezzi o migliorie qualitative sul prodotto operate dai concorrenti. Nasceva così una diversa cultura aziendale che mirava al guadagno immediato e al corto termine. In breve questa forma di cinismo estremo si estese come una marea a tutti i gangli dell’azienda e fu adottata quasi ovunque nel mondo produttivo. La bugia prevaleva sulla realtà. L’apparenza prevaleva sull’essere, per cui abbellire i dati contabili diveniva un’abitudine accettata. Inoltre il debito da rischioso diveniva salutare poiché la redditività del capitale aumenta tenendo bassi i mezzi propri e alti i finanziamenti di terzi. (…) L’errore maggiore consiste nell’avere confuso il mezzo con il fine. Perché il profitto dovrebbe essere un mezzo con cui un’azienda finanzia il suo fine ultimo ovvero sopravvivenza, stabilità finanziaria, solidità patrimoniale, continuità, ricerca, innovazione, crescita, formazione dei giovani nel lungo periodo.

L’imprenditore ha una responsabilità etica, sociale, mette in gioco i propri soldi, e può perdere l’azienda. Il mondo economico di oggi è popolato sempre meno da imprenditori e sempre più da manager formatisi in buona parte nelle grandi business school internazionali. Molti ne sono usciti convinti che il guadagno personale venga prima di tutto. Vivono dell’azienda, non per l’azienda. Non sorprende quindi che abbiano una visione a corto termine.