I FALLIMENTI IN TICINO: UN PROBLEMA SOCIALE ED ECONOMICO CRESCENTE

La questione dei fallimenti è recentemente tornata alla ribalta con la pubblicazione della loro crescita in Ticino.
Per il sindacato Unia la gravità del fenomeno dei fallimenti travalica ampiamente la sua evoluzione numerica.
Non è fenomeno recente ma si è progressivamente rafforzato a causa soprattutto dall’accondiscendenza di partiti politici, autorità e istituzione pubbliche.
In questo senso, il sindacato Unia non vuole solo denunciare in tutta la sua ampiezza il fenomeno degenerativo dei fallimenti in Ticino ma vuole anche cercare di modificare l’approccio generale nell’affrontare questa grave problematica. In sintesi: così non si può continuare!
Il problema fondamentale è che il fallimento si sta progressivamente affermando quale strumento di gestione aziendale. Peggio ancora, una parte non più così marginale del padronato non esista a ricorrere al fallimento quale strumento illecito per realizzare profitti a scapito dei lavoratori, delle assicurazioni sociali e delle finanze pubbliche.
Sempre più spesso notiamo infatti ditte che falliscono a ritmi sostenuti, per esempio 4 volte nello spazio di poco più di 6 anni, con sempre le stesse figure padronali ma anche con la stessa forza lavoro.
Allo stesso modo siamo sempre più spesso confrontati con operai che si presentano ciclicamente ai nostri sportelli con 4 mesi di salari arretrati, mandati dalla stessa ditta in via fallimento. E non di rado questi operai sono confrontati al 2° o al 3° fallimento aziendale.
L’analisi contabile di molti fallimenti, grazie in particolare alle graduatorie nei fallimenti, mostra come sempre più spesso le imprese falliscano lasciando solo qualche spicciolo di attivi ma montagne di debiti. E nella stragrande maggioranza dei casi, questi debiti concernono i salari non versati, gli oneri sociali non pagati e le imposte inevase.
Poi però questi imprenditori li rincontriamo sul terreno, con nuove ditte ma con gli stessi operai e con i mezzi di produzione della ditta precedente, ormai fallita.
Affinando l’analisi ci siamo accorti di un altro processo estremamente preoccupante che ci porta considerare sempre di più i fallimenti come uno strumento per generare profitti, spesse volte illeciti.
Abbiamo registrato casi in cui i datori di lavoro non solo non pagano più i salari ma prelevano tutti gli oneri sociali in busta paga senza riversarli alle competenti istituzioni. Lo stesso avviene per le imposte, da quella alla fonte all’imposta sul valore aggiunto. Questi imprenditori infarciscono letteralmente di debiti e precetti esecutivi la propria azienda, per poi fallire tranquillamente. O, peggio ancora, continuano imperterriti e tranquilli a incamerare profitti e debiti.
Ed è proprio questo l’altro aspetto fondamentale di un sistema ormai malato: questi imprenditori, e il loro numero cresce, hanno capito di poter agire in questo modo perché le autorità politiche, le istituzioni pubbliche e para-pubbliche, le amministrazioni, ecc. tollerano questa politica aziendale. Non abbiamo paura di affermare che sostanzialmente l’unico segnale di un intervento istituzionale è l’emissione di precetti esecutivi a raffica. Detto altrimenti, questi padroni sanno di poter agire nella quasi totale impunità.
Quasi perché gli uffici di esecuzione e fallimenti fanno un lavoro egregio, quasi eroico per certi versi. Ma la loro azione è ostacolata dalla colpevole passività della politica. Come vedremo in seguito, l’ultima proposta è addirittura quella di sottrarre risorse a questo settore!
Se è vero che la legislazione svizzera in materia di fallimenti è troppo debole e lacunosa, è altrettanto vero che degli strumenti esistono, in particolare di natura penale. A mancare è però la volontà politica di combattere frontalmente un fenomeno dal profilo sociale ed economico impressionante.
Nella maggior parte dei fallimenti si riscontrano reati di natura penale: amministrazione infedele, bancarotta fraudolenta, diminuzione dell’attivo in danno ai creditori, cattiva gestione, ecc. Ebbene pochissimi sono i casi di fallimenti perseguiti penalmente, quindi con la possibilità di attaccare il patrimonio personale di coloro che pilotano i fallimenti.
Lo ribadiamo fino alla nausea: questa prassi lassista, al limite della compiacenza, è seguita da praticamente tutti i soggetti coinvolti nei fallimenti. Tolti evidentemente i casi perseguiti dagli uffici di esecuzioni e fallimenti, ormai sovraccarichi, le altre istituzioni si limitano esclusivamente a inoltrare un semplice precetto esecutivo. Praticamente nessuna altra iniziativa è intrapresa per contrastare questo fenomeno.
A questo punto sorge spontaneamente una domanda: perché questo stato di cose è tollerato?
I fallimenti non sono dei processi ineluttabili. Siamo conviti che una politica attiva di contrasto dei fallimenti “provocati” (pilotati) avrebbe un forte impatto deterrente, nonché permetterebbe – come vedremo fra poco – di recuperare ingenti risorse finanziarie, facendo calare vistosamente il loro numero e il loro impatto sociale ed economico.
Per il sindacato Unia la risposta va ricercata nel troppo sostegno incondizionato dato alle imprese in questo cantone, come in tutta la Svizzera. L’impresa e gli imprenditori devono godere del massimo sostegno, della massima libertà d’azione. E questo principio vale anche quando si tratta di far fallire un’impresa e di permettere al padrone di scaricare i costi sociali ed economici per poter ripartire nelle migliori condizioni per una nuova operazione imprenditoriale. Poco importa se questo sistema è sempre più usato da imprenditori senza scrupoli per addirittura fare soldi.
Le cifre che seguono non fanno altro che illustrare l’enorme portata di questo aiuto statale indiretto alle imprese cauzionato dal mondo politico ticinese. Ed è inevitabile stabilire un nesso con le continue litanie sul bisogno di sostenere il mondo imprenditoriale. In particolare pensiamo al nuovo progetto di sgravi fiscali elaborato del Governo ticinese che a breve passerà sui banchi del parlamento. Si rivendicano incessantemente sgravi fiscali per “aiutare” le imprese ma non si parla mai dei costi milionari che queste scaricano sulla collettività intera e in particolari sui salariati di questo cantone.
Per il sindacato Unia è necessario invertire la rotta. La lotta ai fallimenti deve diventare una priorità politica. In questo senso il nostro sindacato intende agire su più livelli:

attraverso una campagna mediatica continua di denuncia di tutti i fallimenti “sospetti” con i quali si confronta nella sua azione quotidiana;
attraverso una serie di proposte politiche per rafforzare la lotta contro i fallimenti;
attraverso l’aumento delle vertenze legali penali nei casi di fallimenti che vedono coinvolti i lavoratori di questo cantone.

Questo è il contributo che il sindacato Unia è pronto a fornire in questa lotta. Resta solo da capire se anche in questo caso la nostra organizzazione dovrà agire in maniera isolata, nell’indifferenza del mondo politico ticinese…

Il peso finanziario dei fallimenti

Come detto in precedenza, l’osservazione sul terreno della recrudescenza dei fallimenti e, in particolari, dei “fallimenti” a scopo di lucro, ci ha spinto a indagare questa realtà in maniera più generale, per tentare di capire se il nostro fosse un allarmismo nato da una sovra-interpretazione di alcuni casi oppure se il nostro timore fosse legittimato dal riscontro con la realtà che ci circonda.
Ebbene, l’apporto della statistica non ha solo confermato la nostra percezione ma addirittura ci ha spalancato gli occhi su un vero e proprio orrido, ben oltre a ogni nostra capacità d’immaginazione.
Ecco i principali dati emersi dalla nostra analisi statistica:

Nel 2016, in Svizzera, la liquidazione di fallimenti ha generato delle perdite finanziarie pari a 2,555 miliardi di chf.

Nello stesso periodo, il risultato registrato a livello del canton Ticino ammonta a 198,683 milioni di chf.

Le perdite a livello della Confederazione rappresentano il 3,80% dei ricavi ordinari incamerati nel 2016 e il 30,80% delle uscite ordinarie per investimenti… (cfr. Consuntivo 2016).

Per il canton Ticino le perdite generate dalle liquidazioni di fallimenti rappresentavano il 5,50% dei ricavi (3,574 miliardi di chf) e il 119% degli investimenti netti (167 milioni di chf)! (cfr. Consuntivo 2016).

In Ticino, dal 1995 al 2016 21 anni), in solo 4 casi le perdite derivanti dalle liquidazioni di fallimenti sono state inferiori ai 100 milioni di franchi (picco minimo 64 milioni!).

In Ticino la media annua di tali perdite è di 252,5 milioni di franchi mentre la media annua per cantone è pari a 132,4 milioni di franchi.

In Ticino, nell’arco di 21 anni sono stati polverizzati qualcosa come 5,55 miliardi di franchi…

Se si tenta un paragone fra gli indici nazionali e quelli cantonali, emerge una tendenza in particolare.
A livello nazionale, se il numero totale delle liquidazioni di fallimenti aumenta costantemente, soprattutto a partire dal 2003, il totale delle perdite generate diminuisce progressivamente, con una chiara rottura nel 2008, per poi stabilizzarsi attorno ai 2,3 miliardi di franchi.
In Ticino, la situazione è piuttosto diversa. In primo luogo, il numero di liquidazioni di fallimenti cresce in maniera molto più marcata rispetto all’indice nazionale, anche se si tratta di un movimento un po’ “nervoso”, nel senso che tale crescita è meno regolare ma caratterizzata da sbalzi più elevati anche se frastagliati da alcune puntuali contrazioni.
Dal 2000, l’indice calcolato per il cantone Ticino sorpassa quello svizzero, creando un divario sempre maggiore.
Per quanto riguarda le perdite totali, gli indici mostrano la massima divergenza. Da subito, ossia dal 1996, l’indice del Ticino si stacca nettamente da quello svizzero.
Se prima parlavamo di andamento nervoso, per quello delle perdite si può tranquillamente parlare di dinamica “schizofrenica”, con punte 7 volte superiori all’indice nazionale (anno 2005).
L’indice medio delle perdite sul piano nazionale è di 86, quello ticinese è invece di 307, ossia 3,5 volte superiore.
Sulla base di queste cifre trova conferma un aspetto fondamentale: in Ticino il fenomeno dei fallimenti e le conseguenti perdite economiche sono nettamente più elevate, proporzionalmente, rispetto al resto della Svizzera.
I valori assoluti del fenomeno non lasciano dubbi circa la gravità della situazione e la necessità che la lotta ai fallimenti costituisca un’urgenza politica.
Tale urgenza è motivata dal fatto che sempre più assistiamo sul terreno a casi d’imprenditori che usano i fallimenti come sistema per generare profitti illeciti, speculando l’elevato grado di tolleranza degli attori in gioco.
Per dare una misura di quanto affermiamo, proponiamo un caso concreto. Considerato che la procedura fallimentare è in corso, non sveliamo ancora il nome della ditta in questione e dei suoi titolari.

La ditta appartiene al settore dell’edilizia. Attiva dal 1994, nell’ottobre del 2013 una parte della proprietà abbandona la società per passare a una seconda società, già fondata nel 2008 ma inattiva. Lo scopo è evidente: mentre la prima caricata di debiti fallirà nel novembre del 2016, i suoi attivi finanziari, i mezzi di produzione e la forza lavoro sono spostati nella seconda società. Anche in questo frangente, si ripete la stessa operazione: la seconda ditta accumulata debiti mentre capitale fisso e capitale variabile sono trasbordati, a cavallo tra il 2015 e il 2016, in una terza società, creata già nel settembre del 2014. La seconda società avvia invece la procedura fallimentare con scioglimento decretato nel settembre del 2016. Da notare che il magazzino delle tre ditte è ubicato sempre nello stesso comune, i mezzi di produzione sono i medesimi, come anche la forza lavoro impiegata, la quale passa da oltre trenta alle attuali 20 unità.

Resta ora da misurare le conseguenze generate da questi fallimenti pilotati a catena. I due fallimenti producono uno scoperto di, rispettivamente, 2’630’506 e di 1’230’014 milioni di franchi, pari a un totale di 3’860’520 milioni di franchi.
A livello della suddivisione dei crediti scoperti, nel primo fallimento il 24,66% (648’920 chf) è rappresentato da salari e oneri sociali, il 71,69% (1’886’047 chf) da imposte e tasse inevase e il 3,63% (95’539 chf) da mancati pagamenti nei confronti di fornitori privati.
Nel secondo fallimento, abbiamo invece il 56,33% di crediti scoperti a livello di salari e oneri sociali (695’798 chf), il 40,49% per quanto riguarda imposte e tasse inevase (497’586 chf) e il 2,87% da crediti scoperti nei confronti dei creditori (35’286 chf).
Questi dati mostrano il “metodo” alla base dell’uso dei fallimenti come strumento di gestione aziendale, come strumento per realizzare profitti illeciti.
Il “metodo” è molto semplice e grezzo: salari parzialmente non pagati, oneri sociali sistematicamente non riversati alle competenti istituzioni (ma trattenuti dalle buste paga degli operai!), tasse e imposte pure sistematicamente inevase.
La natura pianificata dei fallimenti è pure dimostrata dagli scoperti assolutamente marginali nei confronti dei fornitori. In effetti, affinché il meccanismo dei fallimenti a catena possa generare profitti è necessario continuare a produrre (teoricamente anche sottocosto, tanto il margine di profitto è garantito dal mancato pagamento delle spettanze salariali, degli oneri sociali, del pagamento di imposte e tasse…!). Per fare ciò è ovviamente fondamentale non bruciare i ponti, le relazioni con i fornitori (di varia natura), altrimenti il meccanismo salterebbe.
Ma il funzionamento di questo “metodo” è garantito dal fatto che i padroni di queste tre società hanno perfettamente capito di poter agire in questo modo perché garantiti da un sistema che si limita a emettere precetti esecutivi, senza prendere misure, penali e politiche, più radicali.
Un settore dell’imprenditoria ha capito che in Ticino l’accondiscendenza nei confronti dei fallimenti è tale che questi possono essere usati, né più, né meno, come veri e propri strumenti per agire sul tasso di profitto.
E i segnali che provengono dal mondo della politica non fanno che confermare questa tendenza.

l’impegno della politica diminuisce invece di aumentare

I dati e i casi esposti in precedenza dovrebbero giustificare un aumento esponenziale delle risorse, in termini finanziari e in termini di personale formato, da parte dal Canton Ticino nella lotta contro i reati fallimentari.
Invece, il Cantone intende procedere nel senso contrario. Una scelta che contribuisce a rafforzare quella che appunto abbiamo chiamato “accondiscendenza politica” nel confronto dei fallimenti.
A questa conclusione si arriva analizzando il progetto di “Riorganizzazione dei settori Registri ed Esecuzioni e fallimenti della Divisione della Giustizia”, presentato lo scorso 14 luglio dal Consigliere di Stato Norman Gobbi e dalla direttrice della Divisione della giustizia Frida Andreotti.
Ricordiamo che questo progetto di riorganizzazione fa parte delle misure di risparmio contenute nella manovra di risanamento finanziario da 185 milioni presentata nella primavera del 2016 dal Consiglio di Stato.
Avendo ben presente che il progetto di riorganizzazione è stato voluto per risparmiare 2 milioni di franchi all’anno (1’460’000 chf per il solo settore esecuzioni e fallimenti), i motivi avanzati dal cdt Gobbi appaiono tanto ridicoli quanto contradditori.
Nel documento rilasciato alla stampa, Gobbi afferma che il progetto di riorganizzazione risponde alla necessità di «adeguare i servizi all’evoluzione della nostra società e ai suoi mutati bisogni». I fallimenti e le perdite derivanti dalle liquidazioni sono esplose, quindi l’adeguamento dei servizi all’evoluzione della realtà richiederebbe un aumento delle risorse a disposizione del settore esecuzioni e fallimenti. Invece, è proposto proprio il contrario.
Successivamente, Gobbi giustifica il suo progetto anche con la necessità di «accrescere l’efficienza e l’efficacia delle attività svolte, (…) secondo la semplice logica del “fare di più con meno risorse». Oltre che Super anche MagicNorman. Eh sì con un aumento drammatico dei fallimenti e dei crimini fallimentari, ci vuole proprio una magia per aumentare efficienza ed efficacia con meno risorse a disposizione…
Infine, il consigliere di Stato conclude con la necessità di «incrementare la qualità del servizio fornito alla cittadinanza». Visto quanto precede, gli unici segmenti della popolazione che approfitteranno di questi tagli budgetari saranno gli imprenditori che vorranno ricorrere ai crimini fallimentari…
La realtà non è quella dipinta dalle fantasiose affermazioni di Gobbi. La realtà è che confrontati a un contesto di crescita continua del numero di fallimenti e di esplosione delle perdite generate dai primi, il governo taglia le risorse destinate al settore preposto a combattere questo fenomeno e riorganizza la sua struttura indebolendo ulteriormente la sua capacità d’azione.
E un ulteriore elemento scandaloso emerge dagli stessi dati forniti dal dipartimento di Gobbi. Il settore esecuzione e fallimenti conta 110 collaboratori e una spesa totale di 13,7 milioni di franchi. Le entrate, principalmente quanto recuperato dai fallimenti, ammontano a 24 milioni di franchi! Dal punto di vista finanziario, i tagli proposti (che si tradurranno in massima parte in tagli del personale) non solo non si giustificano ma appaiano ridicoli a fronte di un settore che presente un forte attivo. Il saldo positivo di 10,3 milioni di franchi permetterebbe di tranquillamente creare 50 posti di lavoro supplementari. Con questo aumento di forza lavoro, si aumenterebbero anche le entrate poiché aumenterebbero i crediti recuperati grazie all’azione di questi ufficiali. Questo sarebbe sicuramente un segnale politico di un cantone che ha la ferma intenzione di combattere i crimini fallimentari.
Anche la nuova organizzazione del settore è un vettore d’indebolimento della capacità di intervenire su questo fronte. Attualmente il settore è organizzato sulla base di una suddivisione fra Sopra e Sottoceneri, con due responsabili per le due regioni. Il responsabile degli uffici fallimenti del Sopraceneri si occupa anche di allestire, per tutti gli uffici cantonali, le denunce insinuate al Ministero pubblico qualora esiste il sospetto di reati fallimentari, facilitando e migliorando il lavoro degli inquirenti. I risultati finanziari citati più sopra, sono anche il frutto di questa impostazione.
Ora, il responsabile del Sopraceneri ha rassegnato quest’estate le sue dimissioni. Nel suo progetto di Riorganizzazione Gobbi ha di fatto approfittato della partenza di questa importante figura dirigenziale per eliminarne il posto. Infatti, dal nuovo assetto del settore esecuzioni e fallimenti è scomparsa la suddivisione in due uffici (Sopraceneri e Sottoceneri), sostituiti da un unico ufficio cantonale accollato all’Ufficio di Lugano. E soprattutto ci sarà un solo responsabile che si troverà ovviamente con un carico di lavoro aumentato e, soprattutto, difficilmente potrà svolgere l’importante funzione di collante con il Ministero pubblico.
E così anche sul piano organizzativo e operativo, il settore esecuzioni e fallimenti ne uscirà ulteriormente indebolito.
Il progetto di Riorganizzazione testimonia di come la questione dei fallimenti non costituisca assolutamente una priorità politica, nonostante i segnali indichino chiaramente la gravità della situazione.
Per questa ragione è sempre più vitale invertire la rotta. E un primo piccolo passo in questa direzione è rappresentato dalla necessità di bocciare e affossare il progetto di Riorganizzazione del settore elaborato dal Governo. Naturalmente ciò non basta. Come sindacato Unia siamo pronti a fare la nostra parte. Ma è necessario che il problema dei crimini fallimentari diventi una priorità politica condivisa il più ampiamente possibile.

Unia Ticino (ottobre 2017)Il peso dei fallimenti in Ticino_media_23_10_2017(1)