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Unia Regione Ticino e Moesa
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A fine ottobre 2016, da questo stesso sito, avevamo denunciato il caso della ditta Muvartes SA, attiva nel campo del gesso. La gravità del caso aveva portato il sindacato Unia e i lavoratori coinvolti a depositare un procedimento penale presso il Ministero pubblico nei confronti di Andrea Ravanelli, il proprietario appunto della ditta Muvartes SA.
I crimini ipotizzati comprendevano l’usura, la coazione, la falsità in documenti, l’impiego di stranieri sprovvisti di permesso. In pochissime parole, Andrea Ravanelli produceva delle buste paga con un numero dimezzato di ore mentre i suoi operai lavoravano a tempo pieno. Con questo sistema, l’imprenditore trentino pagava la sua forza lavoro con salari italiani, ossia attorno ai 10 euro l’ora. Per assicurare la viabilità del suo sistema di sfruttamento, Ravanelli ricorreva a un continuo ricambio di operai: due o tre mesi e poi le squadre venivano cambiate. Grazie alla disponibilità di 5 operai, i quali hanno deciso di rompere questa catena di brutale sfruttamento, è partita la denuncia. L’ottima collaborazione con il Ministero pubblico ha permesso un’azione rapida che si è tradotta con il recupero delle spettanze salariali dei cinque operai, per un totale di 107’000 chf.
La denuncia al Ministero pubblico non mirava unicamente a recuperare i salari rubati. L’obiettivo andava oltre: confermare i crimini penali ipotizzati per dimostrare la profonda degenerazione che sta minando il mercato del lavoro ticinese. Un’ulteriore dimostrazione – delle tante che il sindacato Unia sta producendo – del colpevole, poiché consapevole, tentativo di quelle forze politiche, di quelle associazioni e istituzioni che si sforzano di nascondere, mentendo spudoratamente oppure adottando misure di cosmesi che permettono al sistema di continuare imperterrito, i pericolosi segnali di una crisi sociale che si fa sempre più acuta in Ticino.
In questo senso, il decreto di accusa era atteso con molta impazienza. Ed è arrivato lo scorso 1° febbraio. La sua analisi è importante per diversi motivi. In primo luogo perché conferma integralmente le ipotesi di reato penale avanzata. In secondo luogo, ci permette di svolgere alcune considerazioni di fondo, sia a riguardo del sistema economico e giuridico che facilità la deriva in corso, sia in merito alle contromisure ormai inderogabili per combattere un mondo imprenditoriale sempre più disposto a ricorrere a qualsiasi strumento per assicurarsi margini di profitto all’altezza dell’appetito vorace di una maggioranza dei suoi membri.
Usura, anzi usura ripetuta
Il procuratore generale non ha avuto dubbi: l’imprenditore Andrea Ravanelli si è reso colpevole di usura ripetuta, poiché «nel periodo gennaio-settembre 2016 [ha] ripetutamente sfruttato lo stato di bisogno e l’inesperienza di diverse persone dando loro, come corrispettivo economico di una prestazione, vantaggi pecuniari in manifesta sproporzione economica con la loro prestazione. (…) sfruttando lo stato di bisogno degli stessi» (Ministero pubblico, Decisione n° DAC 39/2017/JN/RIM, 1 febbraio 2017). Lo stesso procuratore generale definisce precisamente lo stato di bisogno come «legato in particolare alla congiuntura economica italiana, alla loro necessità di provvedere alle rispettive famiglie, nonché la loro inesperienza circa le normative salariali svizzere ed i loro diritti quali lavoratori sottoposti a CCL (dei gessatori)».
Quanto ha dunque reso l’usura ripetuta quale strumento imprenditoriale per generare profitti? Precisando che solo 5 lavoratori hanno deciso di denunciare questo stato di sfruttamento – mentre i lavoratori caduti sotto il sistema del Ravanelli sono diverse decine -, possiamo ricostruire i profitti incamerati dall’imprenditore trentino. Il primo operaio ha lavorato 748 ore per la Muvartes SA, ricevendo 7’247,40 CHF netti, invece dei 29’462,80 netti previsti dal CCL dei gessatori. Il secondo, ha lavorato 623,5 ore, incassando 6’615,65 CHF invece dei 32’699,57 netti ai quali avrebbe avuto diritto. Il terzo operaio, ha trascorso 848 ore sui cantieri, ricevendo 8’311 CHF invece dei 30’846,30 contrattualmente previsti. Il quarto ha lavorato 579,75 ore per soli 5’506 CHF, contro 24’194,92 netti dovutoli. Infine, il quinto operaio ha lavorato 563,25 ore, ricevendo 5’570,90 CHF dei 23’402,35 netti previsti contrattualmente.
Riassumendo, Andrea Ravanelli ha pagato a questi 5 operai un totale di 33’250,95 CHF netti, quando avrebbe dovuto pagarne 140’605,94 CHF netti. Una differenza di 107’355 CHF netti! E non ci stanchiamo di ripeterlo: gli operai sottoposti a usura dal Ravanelli sono stati almeno una quarantina. Secondo una stima prudenziale, per il 2016, la Muvartes SA avrebbe così realizzato attorno ai 400’000-500’000 CHF netti sulle spalle dei lavoratori…
E pure coazione ripetuta…
L’usura spesso comporta altre gravi infrazioni. Troppo spesso, però, questi “effetti collaterali” sono sottovalutati. In questo caso, però, si è andati più a fondo. Ed ecco che l’imprenditore Andrea Ravanelli è stato accusato anche di coazione ripetuta (art. 181 CP). La coazione è così definita dal Codice Penale svizzero: «Chiunque, usando violenza o minaccia di grave danno contro una persona, o intralciando in altro modo la libertà d’agire di lei, la costringe a fare, omettere o tollerare un atto, è punito con una pena detentiva sino a tre anni o con una pena pecuniaria». Andrea Ravanelli si è reso colpevole di coazione ripetuta poiché ha costretto, nel luglio 2016, 3 operai a sottoscrivere dei contratti di lavoro a tempo determinato con la Muvartes SA, retrodatati al mese di maggio 2016, nei quali gli stessi erano qualificati come gessatori anziché carpentieri, «minacciandoli di interrompere ogni futuro rapporto lavorativo in caso di mancata apposizione della firma, consapevole delle urgenti necessità economiche di questi ultimi» (DAC 39/2017/JN/RIM). Sono diversi gli atti commessi dall’imprenditore che ricadono sotto la coazione (da qui la qualificazione di “ripetuta”). Vediamo i più interessanti. La coazione è stata esercitata anche quando il Ravanelli ha costretto, almeno 5 operai, a sottoscrivere «riportanti falsi conteggi ore, da lui stesso taglieggiate, con una dicitura del tipo “… confermo le ore lavorate e pagate…”, minacciandoli di non corrisponder loro gli stipendi se non avessero sottoscritto tali documenti» (idem). Ricade sotto questo crimine anche il fatto di aver costretto almeno 2 operai «a vivere a Sementina in un appartamento di 4,5 locali sito in Via Locarno, in affitto alla Muvartes SA, in 8/9 persone contemporaneamente, facendoli dormire a coppie su letti matrimoniali e/o con materassi stipati sul pavimento, facendo capire loro che, in caso si fossero rifiutati, avrebbe interrotto ogni futuro rapporto lavorativo, come peraltro già avvenuto con operai precedentemente assunti». E ancora per aver costretto almeno 2 altri operai «a vivere a Massagno in un appartamento di 3,5 locali sito in Via Tesserete 7, in affitto alla Muvartes SA, in 5 persone contemporaneamente, facendoli dormire a coppie su letti matrimoniali e/o con materassi stipati sul pavimento, facendo capire loro che, in caso si fossero rifiutati, avrebbe interrotto ogni futuro rapporto lavorativo…». Questi fatti dimostrano come i soprusi non si limitino solo al periodo trascorso sul posto di lavoro ma come questi operai sono pure vittime dei padroni anche quando lasciano i ferri in cantieri e dovrebbero poter gestire nel migliore dei modi la loro vita al di fuori del lavoro. Detto altrimenti, l’abuso non è solo materiale (salario) ma molto più esteso e invasivo, intaccando anche la sfera della libertà individuale…
E non poteva neppure mancare la falsità in documenti, ovviamente ripetuta…
La lista dei reati commessi dal Ravanelli non è ancora completa. Il Procuratore generale ha ravvisato anche la falsità in documenti (art. 251, cifra 1, CP), in quanto l’imprenditore ha, al fine di procacciare a sé o ad altri un indebito profitto, formato documenti falsi o fatto attestare in un documento, contrariamente alla verità, un fatto di importanza giuridica. Nel concreto, il Ravanelli ha fatto attestare, sulle buste paga degli operai, ore lavorative inferiori a quelle realmente effettuate, buste paga che sarebbero state inserite in seguito nella contabilità della ditta quali giustificativi di pagamento dei salari, a disposizione anche di eventuali autorità, per esempio l’Istituto delle Assicurazioni Sociali del canton Ticino. Questo reato si è pure manifestato con l’aver formato o fatto formare almeno 5 contratti di lavoro falsi, «tutti riportanti un salario orario conforme al CCL gessatori sebbene quello realmente corrisposto fosse di molto inferiore, al fine di far risultare in regola la società alle Autorità del Canton Ticino, quali ad esempio l’Ufficio per la sorveglianza del mercato del lavoro, la Commissione Paritetica Cantonale Edilizia e rami Affini o la Commissione di Vigilanza LIA».
Infine, la frode fiscale (ma non solo)
Il Decreto d’accusa si concentra infine sul reato di frode fiscale. Questa è stata realizzata dal Ravanelli sulla base delle buste paga falsificate, ovvero iscrivendo e pagando solo una parte delle ore effettivamente lavoratore dai suoi operai. Queste buste paga false hanno così generato una sottrazione fiscale, in particolare in materia d’imposta alla fonte. In questo senso, per soli 5 operai, l’Ufficio delle imposte alla fonte ha perso 13’788,75 CHF. Il discorso può essere allargato alla frode alle assicurazioni sociali. Infatti, il taglieggiamento delle ore lavorate implica anche una sottrazione degli oneri sociali dovuti: se in busta paga appaiono solo 100 ore lavorate, invece delle 190 effettivamente prestate, ciò significa che all’AVS, all’AI, all’AD sono sottratti importanti contributi. Ne consegue, perciò, una destabilizzazione finanziaria progressiva dell’insieme delle assicurazioni sociali, tendenza che aiuta i nemici del sistema sociale. Infatti, se tendenzialmente diminuiscono le risorse a disposizione delle assicurazioni sociali, padronato e vassalli richiederanno una diminuzione delle prestazioni. E a pagarne il prezzo sarà la collettività dei lavoratori.
Andrea Ravanelli condannato, anche se con la condizionale…
Il Decreto d’accusa ha evidentemente fissato la condanna inflitta al Ravanelli: 6 mesi di pena detentiva sospesa condizionalmente per un periodo di prova di 5 anni. Pena leggera? Sicuramente la stessa è stata attenuata dal fatto che l’imprenditore, una volta incastrato, ha acconsentito il pagamento immediato di quanto tolto ai suoi operai. Per il resto, la condanna è il riflesso di un sistema legislativo e giuridico, quello elvetico, che non solo considera marginali i crimini, gli abusi commessi contro i diritti dei lavoratori ma che è costruito per difendere, sempre e comunque, i padroni. Questi rischiano sempre e comunque poco. E, soprattutto, permette loro di essere immediatamente operativi. Anche nel caso della Muvartes SA… Infatti, Andrea Ravanelli non sembra voler mollare l’osso, non ha nessuna intenzione di abbandonare il mercato ticinese. Gli sarà servita la lezione? Pur dando il beneficio del dubbio, diciamo che la nuova era della Muvartes SA non nasce sotto i migliori auspici. Infatti, il nuovo amministratore unico della società è Daniele D’Onofrio, persona attiva nel settore dell’edilizia e affini ticinese. Ebbene, il D’Onofrio ha partecipato alla gestione di 10 società, 9 delle quali cancellate o fallite… Nel suo curriculum vanta il passaggio nella A & C Costruzioni Sagl (cancellata), nella Ediconsult di D. D’Onofrio (cancellata), nella Neoedil SA (fallita) e nella tristemente famosa (per il buco di 25 milioni di franchi) Adria Costruzioni Sagl (si attende il processo), della quale è stato procuratore con firma collettiva a due… Quasi dimenticavamo, attualmente la Muvartes SA è priva di un domicilio legale in Ticino…
Alcune considerazioni generali cristallizzate dal caso Muvartes SA
Con la pubblicazione del Decreto di accusa, il caso Muvartes SA è stato completamente ricostruito. Quali sono le considerazioni generali che si possono trarre? In primo luogo, contrariamente a quanto volutamente NON si dice, gli abusi in materia di lavoro non possono più essere affrontati unicamente in sede “civile”. Sempre più spesso queste vertenze hanno un risvolto penale, dai pesanti contorni. Dietro il non rispetto dei diritti salariali e delle condizioni di lavoro, e quindi anche dei contratti collettivi di lavoro, si celano pratiche criminose particolarmente brutali quali l’usura, la coazione, ecc. Non siamo più nel periodo storico in cui molte vertenze ruotavano attorno al mancato pagamento degli straordinari. Il quadro è decisamente mutato. E nettamente in peggio come lo testimoniano le denunce pubblicate sul sito www.denunciamoli.ch.
In secondo luogo, se il mutamento dei rapporti sociali di produzione in Ticino è un processo ormai in corso, ancora non è facile determinare il livello raggiunto, il radicamento di un’imprenditorialità senza nessun scrupolo e limite pur di realizzare i suoi profitti. L’omertà interessata che copre questi rapidi e profondi cambiamenti non aiuta a capire a che punto siamo in questo processo di degenerazione. Per il sindacato Unia questo è molto, troppo, sviluppato. A titolo di paragone, una decina di casi “modello Muvartes SA” sono pendenti al Ministero Pubblico. Diverse altre denunce saranno inoltrate prossimamente. In fiancheggiatori nostrani – politici, liberi professionisti e padronali – di questi sfruttatori senza scrupoli diranno che poche decine di casi non sono sufficienti per tratteggiare uno scenario così pessimista. Falso. Ognuno di questi casi richiede una grande mole di lavoro per essere preparato dai sindacati, nell’obiettivo di trasmetterlo al Ministero pubblico. Ricordiamoci che le vittime di questo sfruttamento devono mantenere famiglie, devono confrontarsi a una crisi economica italiana durissima. Convincerli a denunciare la loro situazione è molto difficile. Se è vero che così recuperano buona parte di quanto è stato tolto loro, è altrettanto vero che poi perderanno il loro posto di lavoro. I funzionari sindacali di Unia presenti sui posti di lavoro, in particolare sui cantieri ma non solo, sono confrontati settimanalmente con casi di questo genere. L’esperienza permette ai sindacalisti di individuare abbastanza facilmente i casi di abusi gravi. Le difficoltà citate più sopra e un carico di lavoro sempre più schiacciante, fanno sì che sono una minima parte di questi casi possano arrivare sui tavoli del Ministero pubblico. E non può essere demandato a quest’ultimo il compito di bloccare la deriva economica e sociale in atto. Serve una presa di coscienza politica. E non possiamo aspettare i dati statistici per reagire.
In terzo luogo, appare sempre più evidente il ruolo giocato dai “committenti”, di qualunque natura essi siano. Se è vero che una buona parte degli imprenditori al centro delle nostre denunce proviene dall’Italia – la crisi economica spinge verso il nostro cantone imprese particolarmente senza scrupoli -, è ancora più vero che la quasi totalità dei “committenti” è formata da indigeni. Fino a quando questi potranno fomentare direttamente il dumping sociale acquistando sottocosto prestazioni erogate solo ricorrendo a forme criminose come l’usura, la coazione, ecc., il processo di degenerazione continuerà a espandersi. Anche su questo fronte, sono necessarie immediate e pesanti contromisure politiche. Non quei paraventi come l’iniziativa “Prima i nostri”, la quale colpisce solo i lavoratori frontalieri ma lascia intatte le leve che permettono ai padroni, locali e non, di continuare a mettere in concorrenza i lavoratori, garantendo così intatta la capacità di realizzare profitti.
Infine, vogliamo terminare su una nota positiva. Nel caso Muvartes SA, la convergenza dell’azione del sindacato Unia e la determinazione del Ministero pubblico hanno permesso di recuperare l’integralità delle spettanze salariali dei 5 operai che hanno denunciato il loro “datore di lavoro”. E questa volta a pagare l’integralità della fattura è stato il padrone sfruttatore. Nelle vertenze “normali”, ossia di natura civile, di norma si recuperano solo gli ultimi 4 mesi di salario non versato e gli ultimi 4 mesi di tredicesima. E questo è possibile grazie alle indennità insolvenza, previste nel Capitolo 5 della Legge sulla disoccupazione (LADI). Questo strumento dell’assicurazione disoccupazione, per quanto fondamentale, soffre di due limiti fondamentali. Come già detto, l’indennità per insolvenza copre solo i crediti salariali concernenti gli ultimi 4 mesi al massimo dello stesso rapporto di lavoro. Secondariamente, le indennità insolvenza sono finanziate dai contributi paritetici dell’assicurazione disoccupazione, nella misura dell’1,1%. Ciò vuol dire che quando un padrone non paga i salari o li taglieggia, il recupero di queste spettanze salariali è co-finanziato dagli stessi lavoratori taglieggiati e dall’insieme dei lavoratori. Nel 2013, la Cassa disoccupazione ha versato 8,5 milioni di franchi a titolo di indennità insolvenza, recuperandone solo 290’000… Nel nostro caso, è il signor Andrea Ravanelli che ha dovuto restituire tutti i soldi rubati ai suoi lavoratori. Un motivo in più per continuare sulla strada delle denunce penali!